mercoledì 28 agosto 2013

Pensiero laterale. Anzi no, d'altura.

Grand Canyon, Arizona

C'è un punto, lungo uno dei trail del South Rim del Grand Canyon, che hanno chiamato Ooh Aah Point (pronuncia: u-a-point). Ammirando da lì il panorama, si capisce perché hanno scelto un suono tanto "uao".
In effetti ci sono esperienze che si possono raccontare ed esperienze per le quali non ci sono molte parole, per le quali un suono di meraviglia è tutto quanto possa descriverle.
La domanda sorge spontanea come l'alba dal Grand Canyon: sì, ma se io devo scrivere un pezzo, l'argomento è vasto e complicato, le parole in cui lo devo dire poche e la deadline è per... ieri, che faccio?

C'è una espressione in gurmukhi, usata come mantra nel kundalini yoga, che è Wahe Guru ed esprime lo stato di estasi e totale meraviglia di fronte all'Infinito.
Come è facile immaginare (una volta sperimentata la pronuncia del mantra), Wahe assomiglia molto a "uao"! E in effetti questo è: uao! Che meraviglia, da questo stato di totale apertura ed espansione, da questa cima da cui posso vedere tutto quello che sta succedendo lì sotto (dove, per inciso, c'è tutta la nostra natura umana, con tutti i suoi pregi e difetti)!
Guru non è solo la famosa marca di abbigliamento o il guru indiano che forse in molti immaginano.
Guru è l'insegnante e letteralmente significa "dal buio alla luce": fondamentalmente è ciò che ci illumina quando siamo all'oscuro di quanto sta accadendo.
Ma ancora più interessante è prendere coscienza, nella pratica dello yoga, che c'è un guru dentro ciascuno di noi e siamo tutti insegnanti: abbiamo la capacità di avere una visione d'insieme, come dalla cima di una vetta.

L'argomento può essere difficile e il tempo a disposizione veramente poco: invece di brancolare nel buio e andare nel panico, bisogna fare un passo indietro. Anzi, laterale. Meglio ancora, volare.
Si tratta di cambiare prospettiva: qualcuno lo chiama pensiero laterale, io lo chiamo pensiero d'altura. Invece di aggirare l'ostacolo, lo affrontiamo dall'alto: voliamo sopra la nostra testa e ci guardiamo lì, sul ciglio della montagna, ad osservare il panorama. Forse sembreremo piccoli e indifesi di fronte a quella vastità, ma se riusciamo a guardarci dall'alto evidentemente è perché stiamo davvero volando. Scusate se è poco!

Per portare il lavoro a casa nel minor tempo possibile, contenendo l'infinità dell'argomento in un numero limitato di parole, bisogna ritrovare la propria innocenza: dimenticando il nostro grande talento (ed ego), semplicemente diremo "uao" come farebbe un bambino (o forse Wahe Guru, se pratichiamo il kundalini yoga!).
Nessuno sforzo per giri di parole: uao, e basta. Più l'argomento è difficile, più le parole devono essere semplici. Parole semplici occupano poco spazio e poco tempo, sia per chi scrive che per chi legge.

Come esseri umani siamo già un microcosmo parte di un macrocosmo, dunque abbiamo già dentro di noi il linguaggio per esprimere la vastità in poche parole. Dobbiamo solo lavorare sulla nostra consapevolezza per accedere a quelle risorse dentro di noi e sviluppare una mente raffinata, veloce ed efficace al servizio della nostra creatività.

mercoledì 14 agosto 2013

Go bananas!

Adoro certe espressioni dello slang americano. Come questa che, se dovessimo tradurre letteralmente, vorrebbe dire "vai banane" o "forza banane" o magari "andate a banane". Invece no, significa "fare i matti"! Quotando una delle wiki-answers trovate in rete:

La frase "go bananas" può essere associata al comportamento delle scimmie che si sono assuefatte alle banane come cibo (espressione simile è anche la frase "go ape").
Oppure può riferirsi al comportamento selvaggio e ubriaco causato dal bere un tipo di intruglio che i nativi indonesiani ricavano dalle banane fermentate.

Interessante: ammattire perché ci si è stufati della solita sbobba oppure ammattire perché ci si è fatti una dose di troppo. Non sono forse questi i presupposti della depressione, del continuo altalenare fra gli opposti lontano dal fulcro di neutralità?

Stamattina a colazione ho bevuto un frullato che conteneva quattro banane, ma non mi sembra molto scatenata come cosa.
Non è da me invece bere margaritas, ma quando i tuoi vicini ti acchiappano sotto casa insieme a tuo marito, tutti vestiti di bianco, portoricani simpatici e festaioli, calorosi come il sole... Go bananas!

Ora, non avevo idea del fatto che potessero entrarci sospettissimi intrugli indonesiani fatti con banane fermentate, nel dare origine all'espressione "go bananas": nei nostri margaritas c'era piuttosto (puoi solo fidarti dei vicini!) vino d'agave. Mi viene spiegato che in questo modo il drink è molto, molto più leggero dei classici margaritas.

Ho cominciato a capire quanto era leggero, bevendo: rinfrescante, buono, dolce ma non troppo. M-m!
Ho cominciato a ridere dopo 3,5 minuti e dopo il primo dito di bevanda. Eccoti il wild, drunken behavior! Nel mio caso, sonore risate.
Mio marito, forte della profonda conoscenza che ci unisce, se la rideva sotto i baffi e ogni tanto mi accarezzava la testa teneramente, mentre io continuavo a ridere. La mia vicina: "she's so cute!".
Solitamente non bevo alcolici, proprio non mi piacciono, perciò vado subito in orbita già con un centilitro di drink: nessuno ci crede, finché non vede! Non mi sono mai ubriacata davvero, perché fondamentalmente non bevo. E anche quando bevo qualcosa che mi piace (come la sangrìa, per me pericolosissima!), divento subito talmente brilla che mi gira tutto e probabilmente dimentico di bere il resto o non trovo più la strada tra il bicchiere e la bocca. Sono però cosciente di quello che sta succedendo: come dire, mi lascio andare consapevolmente.

Spesso e volentieri, nella comunicazione, si va "a banane". Ricordo il triste periodo in cui l'Italia è stata soprannominata "la repubblica delle banane" e tutto nacque in effetti da una comunicazione di quel tipo, "a banane".
Ora, la follia può anche essere un aspetto importante della creatività umana (il pensiero corre a Van Gogh o ai poeti maledetti, per esempio): il brainstorming può essere il nostro momento di follia, la creatività senza freni e inibizioni è perfetta quando vogliamo lasciare fluire le idee, le libere associazioni, l'ispirazione. La scrittura creativa ci lascia sbizzarrire a tal proposito.

Ma non bisogna pensare che dietro anche un'apparente assenza di struttura, non ci sia in effetti una consapevolezza e una padronanza di fondo assolutamente indispensabili, persino per creare un brevissimo haiku.
Quando però la follia è una patologia si sconfinano i limiti fisiologici e diventa impossibile percepire la realtà che ci circonda: questo non si presta a una comunicazione neutrale, dove lo scopo del gioco è scrivere e parlare avendo ben presente da quale livello e in quale spazio si sta comunicando e tenendo in grande considerazione il proprio pubblico. Nella comunicazione neutrale, la nostra follia umana viene sapientemente canalizzata nelle parole migliori da usare.

Due parole, in una classe di yoga, possono cambiare la consapevolezza e l'energia dell'intera classe, possono mancare oppure essere di troppo.
Yogi Bhajan, maestro di kundalini yoga, ha detto: "non importa cosa dici o cosa fai, quello che importa è la tua presenza". Amo questa frase: nella mia personale interpretazione, Yogi Bhajan sta dicendo che non importa quale sia il contenuto della tua comunicazione o quale sia il tuo ruolo (scrittore, comunicatore, poeta, politico, insegnante di yoga, dittatore...), quello che importa è se hai carisma e personalità nel dirlo. Ecco perché persino gli esempi più nefasti della storia (basti pensare ad Hitler) hanno avuto successo.

Il primo passo verso la depressione creativa è illuderci che la follia e l'eccesso siano la soluzione. Il talento e la genialità sono dentro di noi, escono allo scoperto oppure no, ma puntare soltanto su quello ci mette a rischio di rimanere delusi. L'inventiva e l'originalità si manifestano spontaneamente senza bisogno di spararci la posa: quando si ha successo è perché si è seguito il proprio flusso, non come ubriachi o drogati, bensì come leader di se stessi e padroni della propria comunicazione.

Se vogliamo andare a banane, insomma, dobbiamo farlo consapevolmente. Se vogliamo che la nostra creatività si esprima manifestando il nostro genio e la nostra (sana) follia, dobbiamo avere autostima e, di conseguenza, carisma e carattere. Senza assuefarci ai nostri ruoli come le scimmie alle banane, senza andare in tilt e trasformarci in scimmie ubriache perché il successo ancora non arriva.
Nel frattempo...
Yoga contro la depressione della nostra creatività: respirare lungo, lento e profondo!
Allungare il respiro finché si riesce a inspirare in 20 secondi, trattenere il respiro 20 secondi ed espirare in altri 20 secondi.
Si può arrivare al "respiro da un minuto" gradualmente, basta mantenere la proporzione fra inspirazione, apnea ed espirazione: si può iniziare con cicli di 5 secondi, poi 10 secondi, poi 15 secondi, fino ad arrivare ai 20.

venerdì 9 agosto 2013

Cloud Atlas

Le giornate si accorciano, qui a Old Town. Gli allenamenti serali di taekwondo, ripresi a pieno ritmo dopo aver passato il test per la nuova cintura, mi vedono tornare verso casa che è già buio.
Cene casalinghe, serate cinema, un buon libro prima di dormire, la meditazione mattutina, il gelato pseudo-italiano ogni tanto, la pianificazione per i prossimi viaggi. E le sempre più frequenti e affollate classi di yoga che insegno, dove assisto ai piccoli miracoli compiuti dalle persone che si concedono l'esperienza di lasciare andare pesi e ferite, aprendo il cuore e liberandosi. Scoprendomi ancora una volta essere umano, nel sentire il mio cuore aprirsi col loro. E insegnante, semplicemente osservando il frutto di un seme che loro hanno permesso attecchisse.

Vado in giro con il mio sprained finger, steccato per tenerlo fermo e dritto, ed esploro questa condizione nella vita quotidiana: ottima scusa per non lavare i piatti e chiedere il favore al paziente marito, frustrante handicap quando si tratta di applicare specifici mudra in meditazione oppure lanciare un pugno a BOB (trattasi sempre del manichino di taekwondo, non di un malcapitato americano di passaggio!). Divertente, quando ti prendono in giro: "Don't mess with Stephania, she's gonna give you the finger!". Ah-ah.

Contrazione delle giornate, espansione dello spirito. E delle amicizie. Quelle che fai appena in tempo ad apprezzare e un giorno a pranzo ti dicono che si trasferiscono in California, non per lavoro, più precisamente per lasciare il lavoro che hanno. E tu le abbracci e proietti per loro ogni bene e successo, provando stima per il loro coraggio e condividendo un pizzico della loro paura per l'ignoto.

Una nuova mappa, sul muro di casa. Una finestra sul mondo, per ricordarsi che oltre le mura c'è altro.
Piccole bandiere sui luoghi del cuore, quelli della propria esperienza, quelli vissuti. Quelli che ci hanno separato e quelli che ci hanno unito, quelli in cui le strade portavano altrove e quelli che ci hanno fatto incontrare di nuovo. Nei cicli della vita.
Locate yourself, poi sincronizzati col Tutto al di là del tempo e lo spazio: e sei.

Spazi vuoti, ancora inesplorati: alcuni saranno presto riempiti, altri chissà. Dipende da quanti pins abbiamo a disposizione.