giovedì 21 agosto 2014

Black

San Diego, California

Nero: come lo usiamo? Povero colore non colore, è associato al lato oscuro della forza! Eppure, esattamente come il bianco, fa parte della vita. Nella tradizione cinese e indiana è il bianco il colore della morte e del lutto, non il nero.

Esplorare i punti più profondi e nascosti della nostra personalità può fare paura a volte. Lì dove ancora non abbiamo fatto luce, c'è tanto da scoprire che ci riguarda. Ignorare quei lati oscuri, quei punti bui che fanno parte di noi e non c'è niente di male ad avere, è controproducente per il nostro benessere. Rifiutarli vuol dire non vedere esattamente chi siamo, negare a noi stessi di conoscerci meglio e crescere prendendone coscienza. Basta ricordarsi che l'ombra non esisterebbe senza la luce.

Il bianco contiene tutti i colori, il nero è il non colore. Non abbiamo bisogno di entrambi per avere una visione completa dello spettro dell'esistenza?
Tenete presente che sono un'insegnante di yoga e vesto di bianco ogni volta che insegno una classe: adoro questo colore che è in grado di espandere e illuminare.
Però so anche cosa succede in meditazione profonda. Pensateci un attimo: chiudete gli occhi e la prima cosa che succede è il nero. Meditare significa andare incontro a quel nero, permettergli di aiutarci a vedere le immagini che il nostro subconscio inizia a dipingergli sopra. Il nero ci permette di vedere quelle immagini, di conoscere il nostro subconscio e infine di scorgere la luce alla fine del tunnel. In yoga chiamiamo Shunia quel nulla, quel nero, quel punto zero, la neutralità indispensabile per guardarsi dentro davvero e vedere le cose con chiarezza, alla luce del sole: l'Uno, oltre la dualità. Bianchi e neri compresi.
Il momento migliore per meditare è prima dell'alba. Il silenzio non è d'oro, è nero. Diventa dorato quando sorge il sole, ma prima di arrivare ad avere tutto chiaro bisogna per forza passarci attraverso.
Solo affrontando le paure e i lati oscuri, accettandoli, l'illuminazione ha un senso per esistere. Altrimenti, come mai arriverebbe se partissimo da uno stato di luce?

Niente paura, quindi, del nero: ogni volta che un baratro si apre sotto i nostri piedi è un'opportunità per andare in profondità con gioia, consapevoli di essere a un passo dalla luce.

Per festeggiare il nero ecco una torta golosa ma healthy che ho inventato proprio ieri, un altro invito creativo ad assaporare ogni aspetto di noi stessi, senza giudicarci bensì individuando ogni ingrediente di cui siamo fatti per essere più consapevoli e gestire con equilibrio quel lato oscuro della nostra forza.



TORTA DI MIRTILLI NERI E CIOCCOLATO EXTRA DARK

Ingredienti:

200g farina 00
100g farina di riso
30g cacao
110g ghi (oppure mezzo bicchiere di olio di semi, se la volete vegana! Vi ricordo in ogni caso che il ghi, burro chiarificato, è privo di lattosio...)
100g mirtilli neri
45g cioccolato fondente (almeno 80%) + altri 20g da parte
2 bicchieri latte di mandorla
1 bustina di lievito
2 cucchiai di melassa (è nera anche quella! Per di più è ricca di ferro, potassio e calcio: scelta molto più sana dello zucchero...)

Preparazione creativa e meditativa:

Setacciate le farine con il lievito e il cacao, osservando l'effetto del bianco che si unisce al nero e apprezzando la sfumatura che ne deriva.
A parte preparate il ghi con la melassa e i mirtilli, mischiando fino a ottenere un composto omogeneo (io ho usato il frullino a immersione), e sentite lavorare in perfetta sincronia dentro di voi il bianco burroso con il nero, quello ferroso della melassa e quello blu notte dei mirtilli.
Tritate grossolanamente il cioccolato fondente e aggiungete all'impasto, lasciando che le dita si sporchino del cioccolato che si scioglie a contatto con il calore delle vostre mani: assaggiate, esplorando la dolce amarezza del cioccolato nero sulla vostra pelle.
Unite tutto alle farine e aggiungete di nuovo il bianco, il latte di mandorla, mescolando con un cucchiaio fino a ottenere un composto spumoso: sentite crescere con l'impasto la vostra pienezza, la totalità dei vostri punti di luce e di buio, godendo di entrambi e del modo in cui insieme creano un mix perfetto. Dal bianco al nero, poi di nuovo al bianco, fino all'equilibrio.
Versate in una teglia da 22 cm imburrata (oppure oleata) e infarinata e spolverizzate con il restante cioccolato sminuzzato la superficie della torta.
Infornate a 180 gradi per circa 40 minuti.

Il risultato è una torta morbidissima e nera che più nera non si può, non molto dolce, ottima da accompagnarsi a una o due palline di gelato (io abbinerei quello al pistacchio, ma lasciate che vi guidi la vostra creatività) oppure (gnam!) alla panna montata se volete più dolcezza (e ulteriore biancore!).

venerdì 8 agosto 2014

Relazioni. Le parole fra mente e cuore


Di recente ho scritto un paio di articoli di cui mi fa piacere parlare in questo lifestyle blog per toccare un argomento che mi sta sempre a cuore: relazioni.
Uno è stato pubblicato su Yoga Journal, sul numero di luglio/agosto. Parla d'amore.



In copertina, come vedete, si legge "Sesso e Yoga". Quello è lo speciale in cui è contenuto il mio articolo: quattro pagine in cui potete trovare anche semplici esercizi e meditazioni da praticare per avere benefici sia nel corpo che nelle relazioni. Ma il cuore del messaggio è volto a sfatare i miti legati allo yoga applicato al sesso. Si parla di tantra, di kundalini, di energia sessuale: tutto questo è ancora frainteso e c'è gente che collega questi concetti a riti tribali o mera performance fisica che prolungherebbe l'atto sessuale e ci renderebbe eredi leggendari di Sting.
Questi i miti. La verità, come sempre, sta nell'esperienza reale, ovvero nel cuore. Il sesso tanto oggetto di interesse è in effetti solo una parte dell'esperienza, che non avrebbe alcun senso se non vissuto consapevolmente. In poche parole, niente di tutto questo si vive solo a letto, bensì è parte di un percorso di crescita personale che è in ogni momento, ogni giorno, nella relazione con se stessi, con gli altri e con il tutto. Una relazione fatta di un amore puro, sano e consapevole.

Purtroppo molta gente è ancora vittima dei luoghi comuni e dell'ignoranza. Un mio ex ragazzo non voleva che praticassi yoga: riteneva che fosse un ambiente frequentato da "uomini che avrebbero potuto provarci con me" e da persone "fissate con l'energia e varie sciocchezze new age". Se fossi rimasta con questa persona - a cui auguro ogni bene e di cui serbo un buon ricordo - le sue insicurezze e inflessibilità mi avrebbero tarpato le ali: oggi non insegnerei yoga e non godrei ogni giorno della mia stessa pratica che mi ha reso più sana e consapevole, fisicamente e mentalmente. Probabilmente non avrei neanche viaggiato liberamente come ho fatto negli ultimi anni. Io stessa, guardando indietro e conoscendomi, stento a credere di avere avuto una relazione simile. Eppure oggi ne sono grata, perché ogni relazione di cui facciamo esperienza, soprattutto se ci sono paure e blocchi mentali, è indispensabile per crescere e capire chi siamo davvero. Di solito, si spera, individui più forti e stabili e in relazioni più sane, consapevoli, autentiche.

A volte la comunicazione è talmente viziata dai miti che abbiamo creato nella nostra mente da compromettere le relazioni. Ne parlo in un articolo pubblicato questo mese dalla rivista allegata al quotidiano La Sicilia, Sicilia in Rosa. Lo trovate alla pagina 45 ed è intitolato "Le parole per stare bene".



Una parente neanche troppo lontana ha espresso più volte calorosamente la sua opinione sullo yoga che pratico: a suo avviso, io e mio marito (anche lui yogi appassionato!) apparterremmo a una setta e saremo dannati, ci dovremmo vergognare. Questa stessa persona ha avuto un tumore al cervello e, quando l'ho accompagnata a una visita di controllo per cui era molto nervosa, mi ha ringraziato per gli esercizi di respirazione che le ho suggerito per calmarsi. Dr Jekyll e Mr Hyde? Sì, è possibile. Quando la mente è confusa e spaventata, quando le emozioni negative prevalgono e fanno perdere il senso di sé.
Paure, insicurezze, frustrazione, rabbia, tante emozioni negative che, se non gestite, rovinano la vita a se stessi e agli altri. Chi vuole essere così infelice? Eppure la maggior parte delle persone felice non è e si sfoga sugli altri. Usando parole terribili, cariche di quelle emozioni collezionate nel subconscio, pertanto affatto lucide e degne di considerazione.

La conclusione a cui io sono arrivata è: 1. ci si può lavorare, 2. non tutti hanno voglia di farlo.
Il secondo punto generalmente fa la differenza. Non c'è persona al mondo che non debba lavorarci, è normale, abbiamo tutti i nostri mostri. Il punto è volere stare meglio, volere aprirsi al mondo con coraggio e chiarezza, volere davvero vedere come stanno le cose.

Quando decidete di fare questo passo di consapevolezza, circondatevi di persone positive, incoraggianti, che godono dei vostri successi. Lasciate perdere quelle negative che vi buttano giù e vi criticano o, peggio ancora, vi giudicano: potete serbare compassione per loro nei vostri cuori, ma non dovete per forza andarci a spasso a braccetto. Se sono relazioni importanti, persone molto vicine, e avete già fatto del vostro meglio per lavorarci attraverso il dialogo ma non c'è stato un punto di incontro nonostante i vostri sforzi, guardate alla relazione con gratitudine: state imparando qualcosa. Poi andate oltre. Soprattutto, credete in voi stessi e state attenti alle parole che usate anche nei vostri confronti: siate positivi, affermate il vostro successo, guardate avanti godendo del presente qualunque sia, certi che tutto andrà bene perché voi potete essere sereni se solo lo volete davvero.

Le parole possono essere uno strumento di pace e consapevolezza, di successo e prosperità, oppure di guerra e autodistruzione. Voi quali preferite, quelle della mente o quelle del cuore?