giovedì 30 luglio 2015

Goodbye

Market Square con la City Hall, Old Town Alexandria


Non so da dove cominciare. Una sensazione nuova per chi, come me, scriverebbe una pagina per ogni battito di ciglia. Questa pagina però chiude un capitolo e dunque merita più di un battito di ciglia.
C'è un intero sguardo, dietro questa pagina. Uno di quegli sguardi che rivolgi a chi ami, di quelli che solo un bellissimo tramonto cattura, di quelli che amano soffermarsi sui riflessi nelle gocce di pioggia sulla finestra.

Sono gli ultimi giorni qui nella nostra America. Un miscuglio di emozioni fluisce volontariamente libero, dentro e fuori dalla pelle col respiro. Consapevolmente mi godo anche la malinconia della separazione dal luogo che ci ha ospitato per tre lunghi anni, dalla casa in cui il mio baby è nato in un giorno di Novembre quando fuori c'era la neve.

La townhouse in cui abbiamo vissuto, angolo tra la King e la Patrick



Passeggio come sempre nella mia Old Town Alexandria, in Virginia, fatta di ciottoli e mattoncini rossi, di townhouse colorate e negozietti sulla King, la via principale, di un waterfront che tante volte ci ha visto andare su e giù lungo il Potomac, sul Mount Vernon Trail, oppure solo per dire ciao a Starbucks.

Porticciolo al Waterfront, Old Town Alexandria


Un intero sguardo, meritato. Ogni passeggiata è adesso l'ultima, ogni negozio quello in cui ti sembra di non avere mai comprato abbastanza, ogni via e angolo della città quelli che avresti potuto percorrere persino di più. E parte la storia, quella dell'addio e del ritorno, una di quelle ancora, sempre, in viaggio. La mente neutra si prepara a raccontarne una nuova, un'altra vita, back to Rome, poi di nuovo via al nord, back to Rome again, poi chissà. D'altronde le emozioni fanno parte dell'avventura, e ti senti un po' nomade ma innamorata come Vianne Rocher (chi non ha letto Chocolat di Joanne Harris? Se non l'avete ancora fatto, sappiate che è totalmente un'altra storia rispetto al film) che trascina con sé per il mondo la sua piccolina Anouk al ritmo del vento. Guardo il mio baby con amore e lo stringo al seno, quel profumo di bambino mi fa sentire a casa.



Un turbine di emozioni, consapevolmente assaporate. I saluti agli adorabili vicini di casa, ai miei studenti di yoga che più teneri non si può, alle amiche conosciute qui che porterai con te nel cuore e ti auguri di rivedere. Uno sguardo al passato, ai tre anni statunitensi che ti hanno dato tanto, uno al futuro ambientato altrove, pieno di incognite, sogni da realizzare e progetti in corso che vuoi condividere. Poi torni al presente fatto di valigie, scatoloni, pannolini e libri di favole (in inglese). Non c'è tempo di divagare ma le emozioni restano lì a fluire libere al ritmo del vento.



Questo blog è nato in viaggio, ha raccolto le mie esperienze nel Nuovo Mondo che ora è già vecchio. Storie di una mente (che lavora ogni giorno per essere) neutra, e così vorrà essere, sotto un altro cielo. La malinconia c'è, ma danza intorno a una missione che è un pilastro di certezza, come mi ricorda il Ganesha regalatomi dalle amate persone del centro yoga in cui ho praticato e insegnato in questi anni americani, ormai da solo sul comodino vuoto: gratitudine nel mio cuore. Lì dove c'è casa.


lunedì 13 luglio 2015

Orlando senza furia

Eola Lake Park, Orlando

C'era una volta una città dove vivevano solo bambini. O almeno questo è l'inizio di una delle tante favole che ho inventato e raccontato al baby in questi giorni qui a Orlando, con una letteratura tutta mia che poco ha a che vedere con Ariosto e l'Orlando Furioso.
Questa è la seconda volta in Florida. Se al primo giro eravamo in due e in modalità esplorazione, questo in tre è stato più un girotondo, dove da A si tornava a B e si ricominciava daccapo. Siamo venuti in circostanze completamente diverse. Non siamo stati i viaggiatori fast & furious, presi dal mettere bandierine in ogni angolo del mondo, dal fare esperienza per crescere. Il viaggio accade anche senza metterci i mezzi, e vedere crescere qualcuno sotto i tuoi occhi ti dà la prospettiva su quanto cresciuta sei tu. Proprio come un girotondo, in cui ci si tiene stretti stretti per le mani finché non gira anche la testa e vedi tutto sottosopra.

Orlando è in effetti una città per bambini, con i suoi parchi divertimento. Noi però non ci siamo calati nel contesto. Forse solo con lo spirito (quello è sempre bene mantenerlo puro e bambino), ma non concretamente.
Un viaggio di lavoro ci ha portato qui, io e il mio Compagno di Viaggio risoluti nel non volerci separare in occasione del nostro anniversario. Visto che abbiamo saltato la Disney, il baby ci ha fatto da Topolino e, avendo i biglietti gratis per entrare, ci siamo limitati a visitare Seaworld, con mio scarso entusiasmo. Esemplari umani di ogni specie e dimensione si esibiscono in tutta la loro rumorosità davanti a delfini, orche, squali e altri animali intelligenti costretti a fingere di divertirsi davanti a un simile spettacolo. Così almeno ho percepito io questo zoo enorme in cui si fanno file chilometriche per entrare, per andare in bagno, per mangiare (schifezze americane, non me ne vogliano), ecc.





I parchi divertimento di Orlando sono così: si pagano moltissimo i biglietti d'ingresso e cifre altrettanto spropositate per interagire. Per rendere fatato il nostro mondo sono bastati i parchi cittadini, quelli così banalmente ma confortevolmente reali. Anche perché per ogni parco c'è almeno un lago qui e, si sa, gli specchi d'acqua sono sempre un po' magici. Ne abbiamo avuto uno proprio nella zona in cui alloggiavamo: il lago Eola, con i suoi cigni, i giochi d'acqua, la pagoda nel parco, è stato un po' la nostra quotidianità.

In tre, in un mondo parallelo spopolato rispetto alla confusione dei parchi divertimento, dove si interagisce con piacere nonostante tutto. Leggasi per tutto: stanchezza da sonno interrotto, schiene (per quanto elastiche grazie allo yoga) messe a dura prova dal peso del baby che cresce sempre più, passeggiate inframmezzate da soste tetta, serate che finiscono all'ora della ninna. Eppure siamo sempre romantici, la magia non manca mai e non è per via di Disneyworld. Anche se, fra tutti, la mitica Hogwarts di Harry Potter sarei andata a vederla.

Fu così che Orlando per noi rimase per lo più downtown, lontano dai resort nei pressi delle attrazioni turistiche più gettonate, piene zeppe di bimbi immersi completamente in quello che bimbi più grandi hanno sapientemente creato.
C'era una volta Orlando. Orlando senza fretta e furia, da vivere più con la tua curiosità bambina che con velocità sugli ottovolanti. Orlando che a quanto pare era una persona reale e un po' furioso doveva essere, visto che è stato ucciso qui dagli Indiani e perciò da lui la città ha preso il nome.

Eola Lake Park

Park Lake Park (sì, si chiama proprio così, alla faccia della fantasia Disney)

Un mondo, Orlando, dove la fantasia non manca a prescindere, visto che ci sono quasi costantemente 40 gradi in questo periodo dell'anno e cominci a vedere nani e folletti senza bisogno di andare a Disneyworld: bastano le passeggiate sotto il sole a cui non vuoi rinunciare. Se ti senti svenire, non perderti d'animo: c'è la genialata del Lymmo, un bus che ti porta gratis lungo le fermate principali di downtown. Non a Winter Park, purtroppo, un po' più distaccato dal centro: abbiamo dato solo una sbirciatina a questa zona shopping in stile europeo (chi l'avrebbe detto!), con tanto verde, ville da ricconi e negozietti lungo il marciapiede.

La magia è anche nel cibo, quando lo scegli in modo consapevole per la salute. Il Dandelion Communitea Cafe, nello stesso Thornton District in cui soggiornavamo, merita un cenno. Qui abbiamo trovato tutto quello che scegliamo ogni giorno per la nostra alimentazione: local, organic, vegetarian. E, soprattutto, tanto nutriente quanto godurioso. Hanno tè e infusi (serviti anche freddi) per ogni gusto e necessità, con un occhio di riguardo alle donne: c'è una tisana per chi allatta, una per le donne in gravidanza o per quelle che soffrono di dolori mestruali. Ce n'è persino una per ogni chakra, creata in collaborazione con un insegnante di yoga naturopata.



Per la mia gioia, vado a sbattere persino contro un piccolo negozio che vende cristalli naturali e libri di cristalloterapia, angeli da appendere, madonnine e libri di favole buddhiste, cd di meditazione e musica rilassante. Orlando offre più di quanto ci avessero fatto credere: tutti gli opuscoli e le pubblicità per attirarti nei parchi divertimento distolgono lo sguardo da un piccolo gioiello, un luogo placido quanto i suoi laghi, da vivere senza fretta, senza maschere, senza castelli in aria.

Ancora una volta lo stato delle arance ci ha sorpreso. In un modo completamente diverso, forse per questo ancor più inaspettato, rispetto all'estremo sud in cui ci eravamo spinti l'ultima volta. Anche Orlando, città per bambini almeno nella mia favola, fa crescere. Puoi essere adulto quanto vuoi, correre furiosamente dietro all'apparenza, allo show che altri hanno creato, alla magia che altrimenti non trovi. Tuttora mi chiedo come ho fatto a non visitare Hogwarts (al di là del costo dei biglietti che, di per sé, è un deterrente). Però so che, qualunque effetto speciale abbiano usato, non sarebbe mai stata per me quella che ho letto nei libri della Rowling.

Sognare è meraviglioso e adoro Disney, ma mi piace viaggiare scorgendo la magia dietro ogni angolo, in ogni lago, in ogni filo d'erba. Ogni incontro reale dà l'opportunità di espandere gli orizzonti e ripulire la mente, di accarezzare tutto ciò che è nuovo con occhi bambini. Con meno furia e più sana, vivace curiosità. Sulle labbra: giro girotondo, quant'è bello il mondo.

Fermata Lymmo. Sullo sfondo: City Hall

giovedì 18 giugno 2015

Soffio fresco al cioccolato




Ci sono tre ragioni e la perdita della ragione, per questa ricetta di felicità. Le ragioni sono:

1. Il forno di casa Still Words si è rotto.
2. Il recente viaggio a Chicago ha inciso il palato con deliziosi pranzi raw.
3. L'assaggio di una chocolate tart vegana che contiene solo cinque ingredienti, tutti a crudo.

La perdita della ragione è associata alla felicità stessa, che ve lo dico a fare. Felicità che si accompagna al risultato finale di questa ricetta che mi sono inventata, ispirata da tutte le ragioni di cui sopra e seguendo gli ingredienti riportati su una tart che ho acquistato da Whole Foods Market a Chicago.

La meditazione che queste ragioni hanno ispirato si svolge in altrettante tre parti, con un finale degustativo che apre tutti i sensi e spoglia il subconscio del superfluo. Ancora una volta, il Kundalini Yoga insegnato da Yogi Bhajan mi viene in aiuto, e con molta umiltà associo una tecnica di yoga alla creatività culinaria del momento.

Perdonate le unità di misura americane, ma ho usato i tools che ho qui nella townhouse e per comodità non li ho tradotti. Don't worry, è facile fare la conversione da cups in grammi: 1 cup=circa 130 gr. Vi prego, fate voi i conti, la matematica non è la mia materia preferita.

Cominciamo? Pronti a rinfrescare un po' la mente e lo spirito, in questa calda estate? A rigenerarsi, lasciando andare le emozioni che bruciano di più, e spazzare via le inibizioni con una brezza provocante e leggera? Via.

1. Forni rotti: c'è davvero bisogno di cuocere?

Domanda che inevitabilmente sorge quando vuoi trovare il lato positivo in una sciagura domestica. Con gratitudine, la mente vola alla cucina crudista. Personalmente non potrei rinunciare a certi manicaretti cotti, come la pizza, certe torte, la parmigiana siciliana... Però posso garantire che la cucina raw è la mia prima scelta quando si tratta di salute, integrità nutrizionale e freschezza degli alimenti, palato deliziato a gran sorpresa. Il bello della cucina crudista è proprio iniziare a frequentarla: non ti aspetti che alimenti semplici come semi e frutta secca possano creare piatti tali da leccarsi i baffi e ottimi per la salute al tempo stesso.

Questo è il primo step della meditazione per questa ricetta: mettersi nudi di fronte allo specchio. Sì, avete capito bene. Spogliatevi completamente e mettetevi di fronte a uno specchio. Poi fate quello che volete: guardatevi, ballate, fate le smorfie, qualunque cosa. Dopotutto si tratta di perdere la ragione (e le inibizioni). Nel farlo, però, apprezzate ogni dettaglio del vostro corpo. Accarezzatelo, toccatelo, sentite il pavimento sotto i vostri piedi, ammirate la profondità dello sguardo, sempre guardandovi allo specchio. Trovate l'anima, lì dentro. Sentite la crudità di questo show: niente vestiti, più leggerezza, freschezza e piacere nel prendersi un po' di tempo semplicemente per gustarsi. Nudi e crudi.

2. Palato & co. Avete idea di quanti ricettori abbiamo in bocca?

Ok, il primo pensiero che vi viene in mente sono le papille gustative, quando si parla di cucina. Lasciatemi condividere una chicca, allora: secondo l'anatomia yogica, il palato duro superiore è attraversato da 84 meridiani che, opportunamente stimolati dal movimento della lingua, creano uno stato meditativo agendo sul lobo frontale e l'ipotalamo, attraverso la ghiandola pituitaria. Nel Kundalini Yoga usiamo i mantra per questo: sillabe anticamente e sapientemente combinate in modo da creare un preciso effetto sul sistema nervoso. Qui il blog di un amico, in cui potete trovare ulteriori informazioni sulla scienza del suono e il suo effetto sul nostro corpo, secondo gli insegnamenti del kundalini yoga.

Secondo step: (nudi oppure no, a voi la scelta, ma scegliete indumenti comodi, chiari e leggeri) sedetevi comodamente nella vostra posizione preferita, meglio se con la schiena dritta, e allungate il respiro gradualmente prima di iniziare. Quando vi sentite rilassati, iniziate a recitare questo mantra del kundalini yoga, il Guru Gaitri mantra, che serve per pulire il subconscio: Gobinde, Mukande, Udare, Apare, Hariang, Kariang, Nirname, Akame. Il significato di ogni parola, nell'ordine, descrive le qualità divine: (colui che) sostiene, libera, illumina, è infinito, dissolve, crea, non ha nome, non ha desideri. Recitate il mantra articolando bene i suoni con la punta della lingua contro il palato. Continuate per 11 minuti per pulire il subconscio e sentirvi più freschi e leggeri quando avete finito.


3. Less is more, dicono gli Americani.

Per quanto io non prenda granché spunto da questo popolo quando si tratta di saggezza alimentare, in questo caso il concetto è crudo a puntino: meno ingredienti contiene il prodotto confezionato che avete acquistato, più è sano. L'ideale è preparare tutto fresco a casa, ma anche in questo caso la legge less is more è perfetta per preparare dolcetti che non gravino sulla salute (e la linea). Questa ricetta contiene solo cinque ingredienti, proprio come quella favolosa chocolate tart (il brand è Hail Merry e distribuisce prodotti tutti raw e organic) che mi ha conquistato.

Terzo step: fare a meno. Vi siete guardati nel primo step, avete ascoltato la vostra stessa voce nel cantare il mantra, adesso state per cucinare facendo a meno del fuoco. Mentre seguite la ricetta, soffermatevi su ciascuno dei cinque ingredienti, preventivamente organizzati sul piano di lavoro. Odorate, assaggiate con la punta della lingua, esplorate il risultato che si ottiene quando li mischiate insieme. Sono freschi, naturali, senza nessuna aggiunta. Il fuoco non serve: la pace è già lì, l'essenza è pura e saporita, nessun intervento è necessario, nessuna modifica. L'originale è perfetto. Concentratevi sul vostro terzo chakra (due dita sotto l'ombelico), la sede del calore, della volontà, ma anche il posto in cui tendiamo ad accumulare emozioni negative. Il chakra del fuoco. A volte è necessario per trasformare e trasformarsi, ma oggi no, oggi siete in pace: raggiungete questo stato meditativo attraverso qualcos'altro, non il fuoco. Allungate il respiro mentre mettete insieme gli ingredienti, mentre preparate la ricetta. Sentitelo rinfrescarvi, l'aria entrare e uscire come una brezza leggera e limpida. Ogni volta che aprite il frigorifero, accentuate la sensazione. Lasciate che la ricetta e gli ingredienti vi guidino verso questo stato evanescente e vaporoso.



La ricetta: Canestrini di cioccolata raw, vegan e gluten-free

Ingredienti per circa 12 canestrini

Per le cialdine:
1 cup farina di mandorle
2.5 cucchiai di olio di cocco
la punta di un cucchiaino di sale rosa himalayano
2 cucchiai di cacao
1 cucchiaio di sciroppo d'acero

Per il ripieno:
3 cucchiai di olio di cocco
1/3 cup di cacao
2 cucchiai di sciroppo d'acero

In una ciotola mischiate la farina di mandorle, il cacao e il sale. Aggiungete l'olio di cocco liquido (a temperatura ambiente, in estate, andrà benissimo) e lo sciroppo d'acero. La farina di mandorle dovrebbe essere fine e al minimo granulosa: si trova nei negozi biologici, ma potete farla anche a casa. Basta che le mandorle siano sgusciate e avere un robot da cucina che possa tritarle il più possibile finemente.

Mettete il composto ottenuto in una teglia per muffin, mezzo cucchiaio per formina. Potete usare dei recipienti di carta per contenerli, in modo che possiate prenderli poi facilmente. Riponete in frigo, mentre preparate il ripieno.

In una ciotola mettete l'olio di cocco, lo sciroppo d'acero e il cacao e con una frusta a mano mescolate in modo da non formare grumi.

Togliete dal frigo le basi e con un pollice spingete al centro della forma in modo da accogliere il ripieno. Aiutandovi con un cucchiaino mettete la crema al centro e spargetela in modo uniforme quasi fino al perimetro della base.

Rimettete in frigo per almeno mezz'ora prima di servire.

Ultimo step: l'assaggio. Intenso, come il cioccolato, ma rarefatto come il cacao in polvere. Esotico, come il cocco, ma fresco come l'ombra di una palma su una sabbia bianca in riva all'oceano. Interessante, come il connubio tra sale e cioccolato, le note rosa del sale himalayano colorando la giornata di ottimismo e fiducia. Essenziale, come l'aroma inconfondibile delle mandorle sbriciolate, impalpabili come la farina, ma senza la pesantezza del glutine. Dolce al punto giusto, dolce naturalmente, senza fronzoli: come da un albero, l'acero in questo caso, uno sciroppo interiore che sgorga dalla solidità di un cuore che cresce in un posto fresco come il Canada.

 

domenica 14 giugno 2015

Pensieri al vento

Lakefront Trail, Chicago

Non posso credere che sia passato un mese e mezzo da quando ho scritto sul blog. Dove sono stata? A Chicago, per dirne una. Le giornate sono fittissime a ridosso della partenza definitiva per l'Italia (ormai le date sono ufficiali!) e stiamo sparando le ultime cartucce per vedere il mondo qui in America.

A poche settimane dal ritorno in patria, le sensazioni sono tante e differenti: c'è un misto di eccitazione, all'idea di rivedere le persone care e respirare l'aria di casa che ci è più familiare, e anche di tristezza, all'idea di lasciare le persone care che qui abbiamo conosciuto e i luoghi che ci hanno ospitato con tanto calore per tre anni.

Chicago sarà l'ultimo pezzettino d'America che ci porteremo dietro? Chissà. Per il momento, la settimana passata lì ha spezzato un po' la fitta routine di nuova mamma che mi sorprende ogni giorno. Il tempo sembra non bastare mai e quando pensi di averne strappato un pochino, è già finito: lo hai impiegato soprattutto per amore, dedicandolo alla tua famiglia, mentre per te stessa è già un lusso avere passato una giornata in un ufficio ad Arlington tanto per portarti a casa il TOEFL oppure essere riuscita a festeggiare subito dopo con una mani/pedi a Dupont Circle.

Visto che i pensieri in questo momento volano al trasferimento imminente (a cui si associano non solo molte emozioni, come sempre, ma anche la forte possibilità se non quasi certezza di trasferirsi di nuovo e lasciare Roma dopo solo sei mesi), Chicago è stata la città ideale quanto a lasciare andare i pensieri al vento.

Negozio Disney, Chicago


Windy city, la chiamano, a ragion veduta: il vento qui non ha nulla da invidiare alla bora triestina. Sempre così, mi dice la ragazza tatuata dietro al bancone del mio posto speciale della città: RAW (che vuol dire crudo in inglese, ma qui per i proprietari è anche l'acronimo di Raising Awareness Worldwide) è un juice bar dove vendono anche cibo vegan e raw appunto, tutta salute. Quasi ogni giorno abbiamo fatto pranzo a sacco con prelibatezze quali ravioli di turnip (rapa) con crema di cashews (anacardi), spaghetti di zucchine (ovvero zucchine crude tagliate a fili), e non vi dico i dolci. Anzi sì: tra quelli che ho provato il tiramisu, i truffle al cioccolato e arancia, i biscotti al cacao e nocciole. Tutto crudo e senza l'ombra di zuccheri raffinati, grassi nocivi, latticini o glutine.

Le esplorazioni culinarie sono sempre il nostro forte, a prescindere dal crudismo e un po' al di fuori del mondo vegan, ma sempre con un occhio d'attenzione alla qualità e al nostro essere vegetariani goderecci: abbiamo scovato il ristorantino italiano autentico dove mangiare nientemeno che pasta fresca, parmigiana e caponata siciliane, burrata e zeppole col miele. Al tavolo, olio d'oliva di quello buono e pungente, pane e una piccola brocca di vino rosso, il tipico quartino, da cui il ristorante ha scelto di prendere il nome.



Ovviamente non ci perdiamo i prodotti tipici del luogo, mai. Abbiamo provato il piatto forte di Chicago, la deep dish pizza, fatta in una teglia a mo' di torta ma per niente pesante come temevo, è invece croccantina e deliziosa. Infine il mini peccato con una mini cupcake da Sprinkles, amato dai Chicaghesi (si dice così?), anche soltanto per premiarne la creatività: un ATM all'esterno del laboratorio da cui si possono prelevare le cupcake non lo avevo mai visto prima. Ho glissato invece sui macarons: non ho capito perché e nessuno ha saputo darmi spiegazioni in merito, ma a Chicago sono fissati con questi dolcetti francesi. Si trovano ovunque molto facilmente, non solo nelle patisserie che, comunque, sono qui in grande quantità.

Deep dish pizza





Grazie a Dio, tutto quello che siamo in grado di mangiare in famiglia, viene investito in lunghe camminate ed esplorazioni di tipo più sportivo.
La prima impressione è che Chicago sia sorella di Manhattan: grande e piena di grattacieli che rubano il sole, taxi e biciclette che corrono all'impazzata, sirene della polizia e dei pompieri che piangono senza sosta, nannies che portano in giro i bambini delle mamme ricche, gli abiti da business griffati e le ventiquattro ore, i turisti e i cittadini che ricompongono il mondo come un puzzle in una sola città. Qui c'è uno dei palazzi più alti del mondo, la Willis Tower (prima si chiamava Sears Tower): fino a poco tempo fa era il più alto degli US, ma poi hanno costruito il One World Trade Center a NYC e il suo record di più di 400 metri d'altezza è stato superato.

Magnificent Mile, la via dello shopping di lusso


Ci rincoglioniamo tutti davanti al Cloud Gate, la scultura che noi abbiamo soprannominato grossolanamente "fagiolone", perdendoci nei riflessi ingannevoli del Millennium Park e dei grattacieli sullo sfondo, mentre cerchiamo la foto perfetta.
Lasciamo solo gli occhi sul Magnificent Mile dello shopping, fra Cartier, Ferragamo, Burberry e chi più ne ha (soldi) più ne metta. Noi ci limitiamo al souvenir: un cappello dei Chicago Sox, la squadra di baseball. Non siamo tifosi, è solo che il vento mi frusta le orecchie. E poi costa "solo" quindici dollari.

Cloud Gate, Millennium Park


Lasciamo il cuore di fronte al lago Michigan, sconfinato quanto il mare, con il contrasto fra la spiaggia chiara e gli immensi grattacieli. Passeggiando lungo il Riverwalk, scarpinando sul Lakefront Trail (non per intero, sarebbe lunghino, 18.5 miglia) e allattando al Navy Pier, su una panchina. Poi c'è un trolley che gratuitamente ti riporta indietro. Ce ne sarà uno che senza prezzo mi riporti il cuore qui, quando saremo al di là dell'oceano?


Lakefront Trail

Il grattacielo del miliardario Donald Trump, sul Riverwalk: il secondo più alto di Chicago, dopo la Willis Tower


Pensieri che presto verranno chiusi negli scatoloni. Intanto ringrazio il vento fastidioso, gelido e impertinente di Chicago: li ha spazzati via e mi ha ripulito un po' il cervello, come solo una meditazione di kundalini yoga per la mente neutra saprebbe fare.

Buckingham Fountain, Chicago


lunedì 27 aprile 2015

Dal diario di un piccino viaggiatore: Texas, y'all!

 
Texas State Capitol, Austin


Ho preso l'aereo per la prima volta per andare in Texas, un posto che papà ha detto si chiama Lone Star, la stella solitaria. Questa stella in effetti l'ho vista subito sulla bandiera di Stato, accanto a quella che ha più stelle e alcune strisce, e anche in cima al tetto dentro il Campidoglio e significa che il Texas era uno stato indipendente e si è liberato dal Messico.

Mamma si è armata fino ai denti per il viaggio in aereo: gocce per nasini secchi, vestiti a cipolla in caso di escursioni termiche, tetta pronta ad ogni decollo e atterraggio per salvaguardare le mie piccole (lo dicono loro, non sono d'accordo) orecchie. Io invece l'ho stupita: non ho avuto bisogno di nulla (alla tetta non si dice mai di no, a prescindere), sono un piccino viaggiatore. Nonostante il ritardo della partenza dell'aereo e uno scalo non previsto, io sono andato con mamma e papà a passeggio sul Riverwalk subito, appena arrivati a San Antonio.

Giorno 1. San Antonio

Come dice la parola, Riverwalk, qui si passeggia lungo il fiume (il San Antonio River, che ve lo dico a fare). Mamma si aspettava i Navigli di Milano, invece qui la strada non è dritta, ma tutta tortuosa e in passeggino è piuttosto scomodo, perché ci sono solo scale per passare da una sponda all'altra. Di sicuro c'era un sacco di gente e rumore perché, neanche a farlo apposta, abbiamo beccato la Fiesta, un ritrovo annuale di scalmanati, a dire della receptionist in albergo. Iniziata giusto il sabato in cui noi ci troviamo qui. Alla fine della giornata sono un attimo sovraccarico di emozioni, perciò proprio è il caso che pianga un po' prima di crollare a letto per fare capire bene a mamma e papà che quando è troppo è troppo.

Riverwalk, San Antonio

La mattina dopo mi sveglio di nuovo grintoso e andiamo all'Alamo. Almeno così sento dire, perché io non ho visto niente: ci sono trenta gradi e sono dentro il passeggino che è ricoperto da strati di stoffa, per evitare che il sole mi bruci, dice mamma. Anche altri qui vanno in carrozza, però il sole lo prendono eccome.



Pare che l'Alamo fosse un forte occupato da Spagnoli e Messicani e a un certo punto la repubblica del Texas se lo è preso durante la rivoluzione. Papà dice che gli Americani sono in grado di tenere puliti e in ordine quei due monumenti che hanno, mentre la mamma pensa a tutto quello che abbiamo in Europa e non abbiamo ancora visitato tutti insieme, mentre qui in America ogni mattone ce lo andiamo a spulciare perché non c'è altro.


Fort Alamo, San Antonio

I texani, by the way, sono sempre arrabbiati a quanto pare. Papà ha comprato una tazza dove un signore spara e dice che i texani non chiamano il 911 (fanno da soli) e sulla presina di mamma c'è scritto "Don't mess with Texas", non fate arrabbiare il Texas, tradurrei io liberamente se solo potessi parlare. E tale Davy Crockett: "You may all go to hell, I'm going to Texas", potete andare tutti all'inferno, io sto andando in Texas. Lui lo ha detto a chi non lo ha votato per essere rieletto alla House of Representatives. Qui si legge spesso nei negozi di souvenir di cui è piena la piazza dell'Alamo (dove peraltro Crockett è morto, spero non di rabbia) e nei bumper stickers, questi adesivi che molti Americani mostrano con orgoglio sulle proprie automobili. Strano per uno Stato il cui motto è Friendship, amicizia. Ad ogni modo a me tutti sorridono, mi dicono che sono adorable, cute e mi fanno i complimenti. A me i texani sembrano simpatici.

Giorno 2. Austin

Mamma continua a mangiare piccante. Abbiamo provato tutti i ristoranti vegetariani/vegani possibili in zona e qui la cucina è di stampo messicano, perciò pizzica. Ho la pancia in subbuglio. Se può interessare, tipici di Austin sono i food trucks, questi carrozzoni stabili dove vendono cibo per strada. A mamma hanno ricordato molto l'equivalente siciliano, come 'a za Rosa a Catania. Io ancora non ci sono stato in Italia, sono nato qui in America.

Una cosa buffa di Austin è questo ponte sul fiume Colorado, da cui c'è una vista tanto carina ma la gente si ferma per vedere volar via al crepuscolo i pipistrelli, tutti aggrappati a testa in giù sotto il ponte. Pare ce ne siano tanti (la colonia urbana più grande del mondo) e la cosa piaccia a più di centomila turisti all'anno che si mettono in fila per assistere alla scena. Mamma inorridisce all'idea che un pipistrello le si attacchi ai capelli lunghi. Per me è ok, tanto io capelli ne ho ancora pochi.

Congress Avenue Bridge, Austin

Il Capitol ad Austin ci è piaciuto tanto, sia dentro che fuori. E poi c'è un bel parco dove si può passeggiare. L'ultima cosa che ricordo è uno scoiattolo, poi ho dormito con la bocca aperta nel carrier contro il petto di papà.

Texas State Capitol, Austin


Giorno 3. Dallas

Dopo ore e miglia con la macchina (guidava mamma e papà mi faceva le facce buffe sul sedile dietro), siamo arrivati a Dallas. Qui ci hanno ammazzato un certo presidente Kennedy. Mamma e papà mi hanno fatto fare avanti e indietro dentro un posto chiamato Sixth Floor Museum, perché qui c'è la ricostruzione degli eventi e soprattutto la finestra al sesto piano da cui pare abbiano ucciso questo signore dalla faccia simpatica. Prima l'edificio era un deposito di libri, ora è un museo ma la finestra è sempre la stessa. Giù sulla strada, la Elm, è dove gli hanno sparato mentre passava con la macchina e tutti lo salutavano.




Lì vicino c'è anche il Memorial per ricordare quel giorno e Kennedy. Quante cose imparo.


Dall'albergo si vede tutta Dallas, siamo al sedicesimo piano eppure siamo bassi rispetto al grattacielo accanto. Mi sento piccolo piccolo, forse lo sono. Latte e letto, grazie, poi si può tornare a casa.


giovedì 16 aprile 2015

E tre, la stagione dell'amore



Questo a Washington DC è il mitico periodo del cherry blossom. Per il terzo anno di fila passeggiamo sotto gli alberi eccitati all'idea che i delicati petali di ciliegio si posino su di noi, portati dal vento che viene dal Potomac.

Il primo anno ho fatto una corsa fra i ciliegi, pur di passare qualche giorno in Florida al prezzo di biglietti più economici ma purtroppo proprio nel periodo di maggiore fioritura in DC. La seconda volta è stata magica, nel periodo in cui allo sbocciare dei fiori corrispondeva la vita fiorirmi dentro, da poco scoperto che il baby era lì dentro la pancia.

Old Town Alexandria

Quest'anno il nostro cherry blossom è a misura di bambino. Le folle sono tutte in DC anche questa volta: picnic sui prati e pedalò sul Tidal Basin, turisti in estasi con pesanti macchine fotografiche al collo e washingtoniani con passeggini al seguito, confusione e impossibilità di trovare un centimento quadrato per disporre del tuo spazio e goderti quel delicato paesaggio rosa.

Quest'anno abbiamo deciso di festeggiare il cherry blossom ad Alexandria, nella quiete della nostra Old Town. Non ci siamo fatti mancare il prato, le passeggiate sotto i fiori, la celebrazione della stagione degli amori. E, mentre sotto gli alberi aspettiamo eccitati che il vento posi i delicati petali di ciliegio su di noi, questo cherry blossom è anche: un piccolo parco giochi incastonato nella benestante neighborhood di Rosemont, un telo steso sul prato di Fort Hunt National Park, una terza primavera americana celebrata in tre.









mercoledì 8 aprile 2015

10 cose belle dopo che pratico kundalini yoga

Waterfront, Old Town Alexandria

I motivi per cui praticare Kundalini Yoga, e qualunque tipo di yoga in generale, potete ormai trovarli sui libri e su internet. I benefici sul corpo e sul sistema nervoso sono riconosciuti dalla scienza. Il kundalini yoga in particolare induce una trasformazione profonda perché innalza la consapevolezza. In pochi movimenti, in poco tempo, cambia qualcosa. Agisce in sinergia, combinando asana (posture), respiro, mantra, mudra (posizione delle mani), meditazione... per questo è così potente ed efficace in tempi più brevi rispetto ad altri tipi di yoga.

Qui non elencherò gli innumerevoli validi motivi per cui praticare yoga. Qui voglio solo condividere cose belle: alcune delle mie esperienze nel praticare Kundalini Yoga. Questo significa che quella che segue è un'esperienza soggettiva e non dovete aspettarvi di avere esattamente gli stessi risultati se lo praticate. Ma ecco la prima cosa bella: qualunque sia il risultato della vostra pratica, e un effetto c'è sempre per tutti, sarà esattamente quello di cui avevate bisogno. La kundalini è un'energia intelligente e sa dove deve andare, come muoversi lì dove è più necessario.

Ci sarebbero in effetti molte più di dieci cose belle da raccontarvi. Questi dieci punti sono quanto ho articolato per divertimento, ispirata subito dopo la mia pratica di oggi che in effetti si riassume in poche, semplici parole arrivate quando ho finito: you're home. Come è successo altre volte, dopo essere passata attraverso posture, mantra, pranayama e meditazione, mi è arrivato un messaggio sussurrato da una voce invisibile. Come un abbraccio, una mano poggiata sulla testa o sulla spalla. In questo caso, un conforto dolcissimo e liberatorio, nei confronti di una neo-mamma yogini che, non praticando da un po' per mancanza di tempo da baby, si sentiva in difetto. Come se le mancasse qualcosa dentro. You're home, sei a casa adesso. Non ti manca niente.

Questi insomma non sono motivi per praticare Kundalini Yoga, sono cose belle che accadono a me e potrebbero accadere a chiunque.

Eccole di seguito, in ordine sparso:

1. Forza e grazia. Ti senti rinascere, rigenerare il corpo e schiarire la mente. Ti sembra che non sarai mai più in grado di dire neanche una parolaccia, sarebbe volgare. Ti senti fiera, elegante, circondata da una nuvola morbida e luminosa. Forte e aggraziata, le due cose a braccetto, imprescindibili: la sola forza senza delicatezza rischia di mettere tensione e nutrire la lotta fine a se stessa, la grazia senza sostegno è come l'albero fatto di sole fronde senza un tronco che le lasci fiorire.

2. Amore. Senti una carezza sulla testa, un'apertura al cuore, come se Dio ti avesse soffiato sul petto sussurandoti "Ora sei a casa, qui non devi più preoccuparti di nulla". Vuoi abbracciare il mondo e ti senti pronta per fare tutte le esperienze e condividerle.

3. Calore. Lì dove c'era freddo, blocco, insicurezza, senti calore, movimento, sicurezza.

4. Espansione. Dal centro del tuo essere, si dipana luce e calore, si estendono raggi di luce come se potessi raggiungere chiunque per allargargli il cuore.

5. Tocco. Le mani vibrano, la punta delle dita vibra. Come se ci fossero fili d'oro e d'argento che partono da lì e disegnano figure aggraziate, passi di danza e note musicali ad ogni gesto. Puoi guarire, con quelle mani.

6. Ispirazione. Le parole arrivano (solitamente in inglese, chissà perché, non perché vivo negli US, succedeva anche in Italia!) e non sono pensate, non sono partorite dalla mia mente. Di nuovo, come se Dio in persona stesse parlando, il mio cuore canta la sua voce. E di solito dice cose brevi, semplici e molto, molto incisive. Tanto da lasciarmi sorpresa di me stessa. Perché è così, lo yoga ti ricorda chi sei.

7. Flessibilità. Sono sempre stata "sdinoccolata" di mio: agile, flessibile, mi piego ma non mi spezzo. Ma dopo lo yoga vedi sciogliersi nodi che prima non vedevi, senti andarsene tensioni dal corpo che neanche pensavi di avere accumulato, hai usato muscoli che non realizzavi di avere.

8. Sorrisi. Il volto si distende e compare un sorriso spontaneo, naturale, come se non avessi bisogno di usare neanche un muscolo della faccia per farlo. Ti ritrovi a scoprire i denti e sorridere senza neanche rendertene conto. Capisci perché Buddha è raffigurato quasi sempre con quel sorriso stampato in faccia.

9. Rilassamento. Pensavi di essere una persona calma e rilassata, con qualche picco di nervosismo e ansia qui e là. Invece capisci che sei una persona calma e rilassata e basta: il resto è frutto di una mente distratta che ha fatto meno yoga del solito. Il corpo ti ringrazia, ti senti più centrata, stabile, in salute.

10. Neutralità. Sei più lucida, in equilibrio, incondizionata. Vedi come i tuoi bianchi e neri siano banali sbalzi d'umore e la vita diventa a colori di nuovo. Gli occhi vogliono vedere, le orecchie ascoltare, il naso odorare, le mani toccare e i piedi sentire la terra sotto, la bocca assaggiare: la vita scorre in te e finalmente te ne rendi conto. E tutti quei sensi sono racchiusi in uno spazio sacro, in un tempio che riesci a vedere dall'alto e non possiedi completamente, perché è governato da Dio.