domenica 25 gennaio 2015

Aiutati che Dio ti aiuta


@ Perugina

Ci sono mantra che non giungono da guru riconosciuti o tradizioni orientali. Eppure sono carichi di uguale saggezza e hanno viaggiato per secoli sui volti delle persone. Mia nonna era uno di quei volti, con gli occhi di chi ha visto due guerre mondiali, le mani di chi ha lavorato duramente, la bocca di chi ha voluto godersi un bicchiere di vino rosso ogni sera a cena per tutta una vita. Una donna forte, volitiva, simpatica e testarda, che ha vissuto 103 anni e ha deciso di venirci a trovare dalla Sicilia fino in America lo scorso 15 Novembre, quando mio figlio nasceva esattamente la stessa notte in cui lei lasciava il suo corpo e questo mondo.

Uno degli insegnamenti più grandi che abbia mai ricevuto da mia nonna è quello di attaccarsi alla vita con tutte le proprie forze. Lo yoga insegna il non attaccamento, la capacità di elevarsi al punto di essere al di là della dualità, del bene e del male, del bianco e del nero, del positivo e negativo. Ma la chiave per arrivare ad avere quella visione neutrale, quella pace interiore, è l'esperienza. Vivere la vita. Imparare dagli errori commessi. Onorare le proprie emozioni senza combatterle, piuttosto riconoscerle, comprenderle e sublimarle per usarle come spinta per innalzare la propria consapevolezza. Per vivere felicemente quel dono che è la vita.

Quella notte del 15 Novembre non sapevo cosa stesse succedendo oltre l'oceano, a migliaia di chilometri di distanza, nella mia Sicilia, nella casetta in cui per anni ho rubato le caramelle di zucchero fondente dal recipiente di vetro sul tavolo della nonna e a volte ho pensato che piovessero dal cielo (sarà stata lei a lanciarle sopra la mia testa e io non la vedevo?). Dove ho dormito in una stanzetta con due letti, uno per me e uno per mia mamma. Dove viveva quella donna anziana che nei primi anni della mia vita mi ha stretto al seno, fra le braccia, cullandomi perché (così mi raccontano!) piangevo ogni volta che mi mettevano giù. Non sapevo che mia nonna ci stava lasciando quella notte, ma l'ho indovinato, dicendolo io stessa dopo qualche giorno a mia madre che me lo aveva tenuto nascosto per non rovinarmi quel momento di felicità che stavo vivendo. Ma nulla è stato rovinato. Dopo alcune ore da quella notte mio figlio è nato, il miracolo della vita è avvenuto mentre si consumava altrove la morte, le mie lacrime di felicità mischiate a quelle di chi stava perdendo una persona cara. Eppure i piani dell'esistenza si sono intersecati, perdita e arricchimento sulla stessa bilancia, e i segni giusti che te li lasciano riconoscere dall'alto, come un dono ugualmente valido. Mia nonna è ufficialmente ai miei occhi un altro Angelo custode per mio figlio.

Gli parlerò di lei. Ricorderò con quanto sdegno ha commentato gli avvenimenti della politica italiana fino all'ultimo momento, con quale lucidità è stata in grado di riconoscere gli acciacchi della vecchiaia, con quanta forza li ha sostenuti. Ricorderò come amava ricordare a me e al mio innamorato che "basta un tozzo di pane" per essere felici, non servono ricchezze, basta volersi bene. Ricorderò i suoi ricami, che ha tessuto con grazia, caparbietà e generosità fino a quando gli occhi hanno retto.
Ricorderò le sue storie affascinanti, di come ha vissuto la guerra, Mussolini, e quanto andasse orgogliosa delle trecce lunghe che dovette tagliare. Ricorderò le sue lacrime, le sue ferite, le cicatrici di una mamma che ha perso un figlio alla nascita e uno adulto, lasciandola a chiedersi perché lei doveva vivere più a lungo. Ricorderò i proverbi che tanto amava ripetere, quei mantra che esprimevano tutta la saggezza popolare, la verità e l'innocenza, la semplicità e genuinità di chi non ha grilli per la testa e viene da umili origini. Ne ricorderò uno in particolare: "Aiutati che Dio ti aiuta". Perché questo è yoga: volersi bene, lasciare che Dio si prenda cura di noi, rialzarsi ogni volta che subiamo sconfitte e fallimenti. Me lo ha insegnato mia nonna, questa yogini che non sapeva di esserlo, che è stata accompagnata da Dio fino all'ultimo dei suoi giorni. Quando mio figlio nasceva.

lunedì 12 gennaio 2015

Un viaggio lungo 9 mesi



Sono mamma. Sono passati nove mesi per fare un bimbo bellissimo e cinque per tornare a scrivere nel blog: è stato forse il periodo più meditativo, magico e romantico della mia vita. Ha richiesto tutta me stessa e, anche se ho continuato a condividere qui altri viaggi (ero al quinto mese!), questo meritava di essere tenuto da parte per essere condiviso con completezza.

E' stata una gravidanza stupenda, seguita da un dolcissimo parto in casa avvenuto lo scorso 15 Novembre, quando Michele ha deciso di venire al mondo. Fino all'ultimo, un'esperienza indimenticabile, benedetta da mille Angeli.

All'inizio c'è stata una candela bianca. Ero in soggiorno e abbracciavo il mio compagno di viaggio (a volte danziamo senza musica), il mio sposo e oggi bravissimo papà. Sapete quando qualcosa vi attira senza sapere bene perché? Mi sono girata come richiamata da una forza misteriosa e cosa vedo scolpito nella candela alle mie spalle? Per me è un cuore. Per mio padre, appena ha visto la foto, un embrione. In entrambi i casi, una premonizione azzeccata! Ve la ricordavate?



C'era la neve fuori, ma nei nostri cuori il dolce calore di sempre. Era un venerdì 14 Febbraio con tanto di luna piena splendente nel cielo. Era una notte in cui abbiamo meditato insieme. Dopo neanche un mese scopro di essere incinta con un sogno. Una bimba mi cresce fra le braccia e, al risveglio la mattina dopo, non ho dubbi: manca ancora una settimana alla mia luna, eppure sono sicura di avere una vita dentro. E così è stato. Solo che non si trattava di una bimba ma di un maschietto. Un piccolo Buddha: grande (ben 3 kg e 800 grammi alla nascita!), pacioso, con l'Infinito negli occhi. Michele, in onore all'Arcangelo che urlò "chi è come Dio?".

Sono stati mesi intensi, una scoperta al giorno, un'avventura che porterò sempre nel cuore. Io che anni fa non avevo mai pensato al matrimonio, né mai ricercato la maternità, oggi sono sposa e madre. E grata per tutto questo.

Ci sono voluti mesi, ma è stato il viaggio più bello che abbia mai fatto. Con un bagaglio ancora più ricco e prezioso, eccomi qui: sono tornata.

giovedì 21 agosto 2014

Black

San Diego, California

Nero: come lo usiamo? Povero colore non colore, è associato al lato oscuro della forza! Eppure, esattamente come il bianco, fa parte della vita. Nella tradizione cinese e indiana è il bianco il colore della morte e del lutto, non il nero.

Esplorare i punti più profondi e nascosti della nostra personalità può fare paura a volte. Lì dove ancora non abbiamo fatto luce, c'è tanto da scoprire che ci riguarda. Ignorare quei lati oscuri, quei punti bui che fanno parte di noi e non c'è niente di male ad avere, è controproducente per il nostro benessere. Rifiutarli vuol dire non vedere esattamente chi siamo, negare a noi stessi di conoscerci meglio e crescere prendendone coscienza. Basta ricordarsi che l'ombra non esisterebbe senza la luce.

Il bianco contiene tutti i colori, il nero è il non colore. Non abbiamo bisogno di entrambi per avere una visione completa dello spettro dell'esistenza?
Tenete presente che sono un'insegnante di yoga e vesto di bianco ogni volta che insegno una classe: adoro questo colore che è in grado di espandere e illuminare.
Però so anche cosa succede in meditazione profonda. Pensateci un attimo: chiudete gli occhi e la prima cosa che succede è il nero. Meditare significa andare incontro a quel nero, permettergli di aiutarci a vedere le immagini che il nostro subconscio inizia a dipingergli sopra. Il nero ci permette di vedere quelle immagini, di conoscere il nostro subconscio e infine di scorgere la luce alla fine del tunnel. In yoga chiamiamo Shunia quel nulla, quel nero, quel punto zero, la neutralità indispensabile per guardarsi dentro davvero e vedere le cose con chiarezza, alla luce del sole: l'Uno, oltre la dualità. Bianchi e neri compresi.
Il momento migliore per meditare è prima dell'alba. Il silenzio non è d'oro, è nero. Diventa dorato quando sorge il sole, ma prima di arrivare ad avere tutto chiaro bisogna per forza passarci attraverso.
Solo affrontando le paure e i lati oscuri, accettandoli, l'illuminazione ha un senso per esistere. Altrimenti, come mai arriverebbe se partissimo da uno stato di luce?

Niente paura, quindi, del nero: ogni volta che un baratro si apre sotto i nostri piedi è un'opportunità per andare in profondità con gioia, consapevoli di essere a un passo dalla luce.

Per festeggiare il nero ecco una torta golosa ma healthy che ho inventato proprio ieri, un altro invito creativo ad assaporare ogni aspetto di noi stessi, senza giudicarci bensì individuando ogni ingrediente di cui siamo fatti per essere più consapevoli e gestire con equilibrio quel lato oscuro della nostra forza.



TORTA DI MIRTILLI NERI E CIOCCOLATO EXTRA DARK

Ingredienti:

200g farina 00
100g farina di riso
30g cacao
110g ghi (oppure mezzo bicchiere di olio di semi, se la volete vegana! Vi ricordo in ogni caso che il ghi, burro chiarificato, è privo di lattosio...)
100g mirtilli neri
45g cioccolato fondente (almeno 80%) + altri 20g da parte
2 bicchieri latte di mandorla
1 bustina di lievito
2 cucchiai di melassa (è nera anche quella! Per di più è ricca di ferro, potassio e calcio: scelta molto più sana dello zucchero...)

Preparazione creativa e meditativa:

Setacciate le farine con il lievito e il cacao, osservando l'effetto del bianco che si unisce al nero e apprezzando la sfumatura che ne deriva.
A parte preparate il ghi con la melassa e i mirtilli, mischiando fino a ottenere un composto omogeneo (io ho usato il frullino a immersione), e sentite lavorare in perfetta sincronia dentro di voi il bianco burroso con il nero, quello ferroso della melassa e quello blu notte dei mirtilli.
Tritate grossolanamente il cioccolato fondente e aggiungete all'impasto, lasciando che le dita si sporchino del cioccolato che si scioglie a contatto con il calore delle vostre mani: assaggiate, esplorando la dolce amarezza del cioccolato nero sulla vostra pelle.
Unite tutto alle farine e aggiungete di nuovo il bianco, il latte di mandorla, mescolando con un cucchiaio fino a ottenere un composto spumoso: sentite crescere con l'impasto la vostra pienezza, la totalità dei vostri punti di luce e di buio, godendo di entrambi e del modo in cui insieme creano un mix perfetto. Dal bianco al nero, poi di nuovo al bianco, fino all'equilibrio.
Versate in una teglia da 22 cm imburrata (oppure oleata) e infarinata e spolverizzate con il restante cioccolato sminuzzato la superficie della torta.
Infornate a 180 gradi per circa 40 minuti.

Il risultato è una torta morbidissima e nera che più nera non si può, non molto dolce, ottima da accompagnarsi a una o due palline di gelato (io abbinerei quello al pistacchio, ma lasciate che vi guidi la vostra creatività) oppure (gnam!) alla panna montata se volete più dolcezza (e ulteriore biancore!).

venerdì 8 agosto 2014

Relazioni. Le parole fra mente e cuore


Di recente ho scritto un paio di articoli di cui mi fa piacere parlare in questo lifestyle blog per toccare un argomento che mi sta sempre a cuore: relazioni.
Uno è stato pubblicato su Yoga Journal, sul numero di luglio/agosto. Parla d'amore.



In copertina, come vedete, si legge "Sesso e Yoga". Quello è lo speciale in cui è contenuto il mio articolo: quattro pagine in cui potete trovare anche semplici esercizi e meditazioni da praticare per avere benefici sia nel corpo che nelle relazioni. Ma il cuore del messaggio è volto a sfatare i miti legati allo yoga applicato al sesso. Si parla di tantra, di kundalini, di energia sessuale: tutto questo è ancora frainteso e c'è gente che collega questi concetti a riti tribali o mera performance fisica che prolungherebbe l'atto sessuale e ci renderebbe eredi leggendari di Sting.
Questi i miti. La verità, come sempre, sta nell'esperienza reale, ovvero nel cuore. Il sesso tanto oggetto di interesse è in effetti solo una parte dell'esperienza, che non avrebbe alcun senso se non vissuto consapevolmente. In poche parole, niente di tutto questo si vive solo a letto, bensì è parte di un percorso di crescita personale che è in ogni momento, ogni giorno, nella relazione con se stessi, con gli altri e con il tutto. Una relazione fatta di un amore puro, sano e consapevole.

Purtroppo molta gente è ancora vittima dei luoghi comuni e dell'ignoranza. Un mio ex ragazzo non voleva che praticassi yoga: riteneva che fosse un ambiente frequentato da "uomini che avrebbero potuto provarci con me" e da persone "fissate con l'energia e varie sciocchezze new age". Se fossi rimasta con questa persona - a cui auguro ogni bene e di cui serbo un buon ricordo - le sue insicurezze e inflessibilità mi avrebbero tarpato le ali: oggi non insegnerei yoga e non godrei ogni giorno della mia stessa pratica che mi ha reso più sana e consapevole, fisicamente e mentalmente. Probabilmente non avrei neanche viaggiato liberamente come ho fatto negli ultimi anni. Io stessa, guardando indietro e conoscendomi, stento a credere di avere avuto una relazione simile. Eppure oggi ne sono grata, perché ogni relazione di cui facciamo esperienza, soprattutto se ci sono paure e blocchi mentali, è indispensabile per crescere e capire chi siamo davvero. Di solito, si spera, individui più forti e stabili e in relazioni più sane, consapevoli, autentiche.

A volte la comunicazione è talmente viziata dai miti che abbiamo creato nella nostra mente da compromettere le relazioni. Ne parlo in un articolo pubblicato questo mese dalla rivista allegata al quotidiano La Sicilia, Sicilia in Rosa. Lo trovate alla pagina 45 ed è intitolato "Le parole per stare bene".



Una parente neanche troppo lontana ha espresso più volte calorosamente la sua opinione sullo yoga che pratico: a suo avviso, io e mio marito (anche lui yogi appassionato!) apparterremmo a una setta e saremo dannati, ci dovremmo vergognare. Questa stessa persona ha avuto un tumore al cervello e, quando l'ho accompagnata a una visita di controllo per cui era molto nervosa, mi ha ringraziato per gli esercizi di respirazione che le ho suggerito per calmarsi. Dr Jekyll e Mr Hyde? Sì, è possibile. Quando la mente è confusa e spaventata, quando le emozioni negative prevalgono e fanno perdere il senso di sé.
Paure, insicurezze, frustrazione, rabbia, tante emozioni negative che, se non gestite, rovinano la vita a se stessi e agli altri. Chi vuole essere così infelice? Eppure la maggior parte delle persone felice non è e si sfoga sugli altri. Usando parole terribili, cariche di quelle emozioni collezionate nel subconscio, pertanto affatto lucide e degne di considerazione.

La conclusione a cui io sono arrivata è: 1. ci si può lavorare, 2. non tutti hanno voglia di farlo.
Il secondo punto generalmente fa la differenza. Non c'è persona al mondo che non debba lavorarci, è normale, abbiamo tutti i nostri mostri. Il punto è volere stare meglio, volere aprirsi al mondo con coraggio e chiarezza, volere davvero vedere come stanno le cose.

Quando decidete di fare questo passo di consapevolezza, circondatevi di persone positive, incoraggianti, che godono dei vostri successi. Lasciate perdere quelle negative che vi buttano giù e vi criticano o, peggio ancora, vi giudicano: potete serbare compassione per loro nei vostri cuori, ma non dovete per forza andarci a spasso a braccetto. Se sono relazioni importanti, persone molto vicine, e avete già fatto del vostro meglio per lavorarci attraverso il dialogo ma non c'è stato un punto di incontro nonostante i vostri sforzi, guardate alla relazione con gratitudine: state imparando qualcosa. Poi andate oltre. Soprattutto, credete in voi stessi e state attenti alle parole che usate anche nei vostri confronti: siate positivi, affermate il vostro successo, guardate avanti godendo del presente qualunque sia, certi che tutto andrà bene perché voi potete essere sereni se solo lo volete davvero.

Le parole possono essere uno strumento di pace e consapevolezza, di successo e prosperità, oppure di guerra e autodistruzione. Voi quali preferite, quelle della mente o quelle del cuore?

giovedì 3 luglio 2014

Urban Zen

Tram a San Francisco. Alcatraz sullo sfondo.

Ups and downs sulle 43 colline di San Francisco, vi risparmio la metafora degli alti e bassi della vita, ma vi parlo di quanto importante sia rilassarsi.

Quando viaggio e visito una nuova città, la voglio spulciare e mettere bandierine quasi in ogni quartiere. Bello, ma mette a rischio di stancarsi e finire per perdere la possibilità di fermarsi un momento a gustare ciò che si sta esplorando.

Questo il mio messaggio dallo storico tram rosso a cui le persone si aggrappano per uno strappo nella Fog City. Perché così la chiamano, San Francisco: la città della nebbia. E lo dimostra il famoso Golden Gate Bridge, tra nuvole dense e vaporose.

Golden Gate Bridge, San Francisco

Ecco il giro.

Market Street, la via principale attraverso Union Square, Chinatown attaccata a North Beach dove un tocco di Little Italy sulla Columbus ci porta a conoscere Romina sulla Union. Suo il ristorante Cinecittà, lei che è rimasta romana fino al midollo dopo nove anni qui, e fa supplì, panzerotti e pizza dalla crosta fine come quella che tanto mi manca di Trastevere.

A proposito di cibo, si compra un po' di frutta fresca locale nel Financial District, dove nella zona del Ferry Building c'è regolarmente il farmers market. E a SoMa (South Market) vale la pena visitare un posticino che tocca il cuore di vegetariani e vegani: il ristorante si chiama Source e mi regalano un buonissimo vegan dessert.

Non ci si fa mancare nulla e, senza saperlo, proprio nel weekend di questa esplorazione di San Francisco c'è la cerimonia annuale del gay pride: bandiere a strisce colorate, magliette rosa e travestimenti vivaci, allegria a fior di pelle, dal quartiere Castro tutti si riuniscono nella piazza al Civic Center, di fronte a una City Hall illuminata con i colori della bandiera arcobaleno. Qui Harvey Milk, icona di San Francisco per il suo contributo al movimento dei diritti dei gay, negli anni 70 fece il discorso ancora oggi ricordato come Hope Speech.

City Hall, San Francisco

Sono tre giorni in tutto e non è finita qui. Yogi Bhajan diceva: "La tensione va bene se seguita dal rilassamento". In ogni classe di Kundalini Yoga, c'è sempre l'opportunità di rilassarsi spalmati per terra nella posizione del cadavere, dopo avere faticato in sequenze di posture, angoli e triangoli formati da questo bellissimo corpo che abbiamo.

Lo stress è la causa di tutti i mali e la malattia si manifesta nel corpo facilmente quando la mente è sovraccaricata. Per questo è indispensabile rilassarsi, integrando una buona dose di riposo fra un'attività e l'altra.

San Francisco non fa eccezione. Si rallentano i ritmi al Golden Gate Park, un mix di giardini per tutti i gusti, dal Botanical Garden al Rose Garden, passando dal Japanese Tea Garden e i suoi giardini zen che eliminano un po' dello stress della city. Qui la Californian Science Academy, la galleria di arte moderna, la Music Academy e la banda del parco che suona, gli studenti di Berkeley che si allenano a baseball sul diamond, lo Stow Lake con il suo Chinese Pavilion e le oche selvatiche. Soprattutto, tante panchine nel parco su cui sedersi e prendere un bel respiro.

Japanese Tea Garden, Golden Gate Park




Tè e dolcetti di riso giapponesi

Da Baker Beach, alla Marina, si vede il famoso ponte, rosso e alto in mezzo a quelle nuvole che salgono dall'oceano. C'è un trail che porta fino a lì, passando per la spiaggia e salendo gradini di legno che affondano nella sabbia. Resto sulla riva, contemplando l'oceano, il suono delle onde, il profumo del sale (ricordo felice della mia isola natale). Scelgo di respirare e giocare con i ricordi.

Baker Beach, San Francisco. Sullo sfondo il Golden Gate Bridge.

Toccata e fuga dal Pier 39 al Fisherman's Wharf, ritrovo per turisti e leoni marini: centro commerciale affollatissimo e un solo leone marino a prendere il sole, forse gli altri sono scappati spaventati dal casino. Il silenzio di Alcatraz, tenebrosamente imprigionata in una nube grigia, fa da contraccolpo.

Alcatraz vista dal Pier 39, San Francisco

Meglio stancarsi a Muir Woods. Un monumento agli alberi più alti del mondo, i redwoods, cugini delle sequoie giganti che avevo cercato di abbracciare al Sequoia National Park l'anno scorso: a solo un'ora e mezza di macchina dal centro città, è un'alternativa al parco nazionale dei Redwoods, lontano il doppio. Cammina cammina, anche a Muir Woods, ma almeno nella natura. Abbastanza per me, per riprendere fiato respirando con gli alberi.

Muir Woods, Bay Area

La vita quotidiana è sempre più piena, il lavoro se c'è è meglio e ce lo teniamo stretto dando il massimo, il nostro tempo è assorbito dalle relazioni e dalle attività. I nostri ritmi sono cittadini, ci muoviamo velocemente, siamo in grado di correre anche quando apparentemente non abbiamo nulla da fare in agenda. La nostra mente è crooked, tortuosa, come la famosa Lombard Street di San Francisco: troppo bella per non essere guardata e scorgere che, alla fine dei tornanti, c'è una visione d'insieme.

Lombard Street (aka crooked street), San Francisco

Esercizio quotidiano: prendere fiato! Relax, relax, relax: fra un'attività e l'altra, no matter what, un bel respiro per sciogliere le tensioni dal corpo, un lungo momento di riposo tenendo gli occhi chiusi e ricordandoci che siamo vivi e possiamo essere in pace.
Rendiamo Zen ogni momento, non c'è bisogno di ritirarsi in un monastero: troviamo la pace nel bel mezzo del traffico cittadino. Questo il viaggio migliore che si possa fare, dentro di sé.

venerdì 27 giugno 2014

In pace con la propria natura: bilanciare gli elementi


Jackson Lake, Grand Teton National Park, Wyoming

In Wyoming, nel cuore delle Rocky Mountains, l'avventura americana è da Far West: ci sono i rodei (che, personalmente, non gradisco: gli animali li preferisco liberi e lontani dagli show!), i ranch, i bisonti con il muschio sulla gobba.

Guidando verso Jackson Hole, nella zona dei parchi Grand Teton e Yellowstone, si ammirano montagne, laghi e spazi verdi degni della famosa Casa nella Prateria. Si respira pace, si sente che la natura qui è presente più dell'uomo (la densità della popolazione è bassa), si incontrano animali selvatici guidando lungo la strada.

Bisonti pascolano nella Hayden Valley, Yellostone











Passeggiare nella natura può essere un ottimo modo per purificarsi respirando aria pulita e trovare un po' di pace nel suo silenzio o nei suoi suoni confortanti.
Tranne forse quando devi avere a che fare con le zanzare e il loro ronzio fastidioso nei pressi di laghi e ruscelli. Oppure quando ti becca il diluvio nel pieno della passeggiata. Oppure quando i cartelli lungo i sentieri ti ripetono di fare attenzione agli incontri ravvicinati con i Grizzly, descrivendoti nei dettagli cosa fare: non correre via, indietreggia lentamente, se l'orso carica buttagli lo spray al peperoncino in faccia (bomboletta che vendono alla modica cifra di 50 dollari ai Visitor Centers e io non ho comprato!), se arriva ad attaccarti... fight back, contrattacca! E ti credo!


 











Kepler Cascades, Yellowstone National Park

Lower Falls, Yellowstone National Parks

Eppure anche questo fa parte dell'avventura e può essere un modo per confrontarsi con le capacità del proprio sistema nervoso che può essere responsivo e adattarsi oppure crollare e rovinarci l'esperienza.

La natura là fuori ci può insegnare a fare pace con la nostra natura interiore, attraverso gli elementi.

Siamo saldi e forti come rocce e montagne?
Calmi e pacati come laghi?
Ribolliamo di rabbia e fuoco come i geyser?
Voliamo via come foglie al minimo soffio di vento?

Phelps Lake, Grand Teton National Park




Geyser lungo uno dei trail, Yellowstone National Park

Old Faithful geyser, Yellowstone National Park

Qualunque sia la nostra natura, è bellissima così com'è. Però a volte alcuni elementi dominano su altri e ci possiamo sentire sbilanciati, in conflitto con noi stessi e con chi ci sta intorno.
Giocare con gli elementi è divertente e soprattutto utile per conoscersi, ad esempio: si può prestare attenzione a ogni passo con cui i piedi toccano la terra se la testa tende ad essere per aria, oppure nutrire un cuore da troppo tempo inaridito aumentando la dose di acqua, cioè lasciando fluire le emozioni tenute dentro.

Yellowstone Lake

Una volta riconosciuti i propri elementi, si può meditare per bilanciarli. Non sempre si può viaggiare o trovarsi nella natura, ma si può portare quella pace dentro di sé ovunque.
Una meditazione per esempio in caso di turbamento da tromba d'aria nel cervello potrebbe essere fare il lago e la montagna: acqua e terra calmano e radicano moltissimo.
Chiudere gli occhi, respirare con molta calma e sentire che la propria pelle, gli organi, l'intero corpo assumono le sembianze di quel lago sotto le montagne, dove il cielo è terso, l'acqua cristallina e l'aria pura.

Ogni giorno è diverso e, al di là della costituzione a cui tendiamo, gli elementi possono variare, perciò ascoltarsi è fondamentale. Soprattutto, è importante volersi bene accettando la propria natura senza stravolgerla: basta studiarne l'ecosistema e rispettarne gli equilibri, in armonia con se stessi.


Phelps Lake, Grand Teton National Park

mercoledì 25 giugno 2014

Life elevated


Great Salt Lake, Utah


Alla fine io e il mio compagno di viaggio abbiamo ceduto all'ennesimo richiamo di una nuova avventura: questa volta inizia dalle montagne dello Utah, a Salt Lake City. Lasciati alle spalle i 40 gradi di Washington DC, in valigia ci sono anche lavoro e studio (che non finiscono solo perché ti sposti verso la costa opposta) insieme alle emozioni in crescita di questi ultimi mesi.

Come posso resistere di fronte a una provocazione come quella che mi si para di fronte appena scesi dall'aereo? Benvenuti in Utah, dice il cartello, elevated life: vita elevata. Ovvio, qui siamo a circa 1300 metri, ma non è questo l'aspetto che mi interessa. Soprattutto visto che il giorno dopo si guiderà fino in Wyoming e i metri si faranno più di 2000 al Grand Teton e poi a Yellowstone: non c'è confronto. Quello che mi piace è il concetto di elevare la vita... ti pareva!

Si parte dalle mosche. Perché la vita è fatta anche di questo: fastidiosissime mosche che ti si appiccicano sulla pelle, eppure anche loro hanno una ragion d'essere.
Ci troviamo sulla riva del Great Salt Lake e c'è tanta puzza: pare siano i milioni di larve che abitano qui e cibano gli uccelli a provocarla. Sono gli unici organismi in grado di sopravvivere all'altissima concentrazione di sale di questo lago. Ne consegue un simpatico tappeto di mosche che volano via a sciami quando ci passi sopra.

Le brine flies (mosche) al Great Salt Lake, Utah


Quante volte avremmo voluto evitare quella sgradevole sensazione di essere seguiti dai fastidi nel tentativo di ripulirci da ciò che è ormai superfluo? E pensare che volevamo solo fare un bagno nel lago, passare dall'altra parte e dire "ok, ora so cosa devo fare!".

Si passa per il centro di Salt Lake City, città di mormoni, grattacieli che tentano senza successo di superare le montagne alle loro spalle, templi inaccessibili per chi non è un ministro di questa fede.
Quante volte ci siamo sentiti chiusi fuori, nel tentativo di elevarci, con l'impressione di avere le ali ma non potere usarle? Guardando dal basso verso l'alto nel tentativo di trovare lassù le risposte e costruendo strutture di ogni tipo per arrivarci?

Mormon Temple, Salt Lake City

Se avete voglia cercate le vostre risposte, oppure ignorate le domande e magari godetevi solo il paesaggio: questo viaggio continua nei prossimi post. Se ne può trarre ispirazione per cercare dentro se stessi quello che finora si è sperato di trovare fuori, oppure solo guardare le foto: saranno molto più belle di quelle postate oggi, grazie alla meravigliosa natura dei parchi fra le montagne del Wyoming (niente più tappeti di mosche, promesso!).