martedì 12 novembre 2013

Un giorno, a Città del Messico...



Catedral Metropolitana (dettaglio), Zócalo

Una bandiera che sembra italiana ma non lo è, come dimostra l'aquila col serpente in bocca stampata su bianco, rosso e verde: i nomadi Aztechi, al vederla posarsi su un cactus, lo presero come un suggerimento divino per fermarsi e fondarvi una città.
Oggi, lì dove si pensa sia stata avvistata l'aquila, si intravedono le rovine del Templo Mayor e quello che era considerato dagli Aztechi il centro dell'Universo è ora "solo" un centro storico, la cui piazza principale con tutto ciò che contiene è conosciuta come Zócalo. Qui le rovine sono una minuscola rappresentanza dell'epoca pre-ispanica, rispetto alla mastodontica cattedrale e al Palacio Nacional (che prende un lato intero della piazza).
Gli Aztechi erano disposti a sacrificare vite umane per ingraziarsi gli dei e davano tanta importanza ai segni da far scegliere la propria casa a un'aquila. Gli Spagnoli vedevano nell'oro un segno molto concreto per sentirsi legittimati a cancellare una civiltà e instaurare la loro nuova casa (Nuova Spagna, all'epoca!) sulle macerie di quella altrui.
Nel bel mezzo della drammaticità di queste considerazioni, ammetto che c'è un'unica domanda che vorrei fare ed è rivolta all'artefice di una buona fetta di storia dell'umanità: aquila, ma come mai proprio su un cactus?

Templo Mayor, Zócalo

Sagrario Metropolitano, Zócalo

Pungente come un cactus mi è apparsa, Città del Messico. L'energia qui è feroce, la sua storia e la sua gente graffiano. Le passioni sono esagerate e trovano sfogo nella creatività, alla maniera di Frida Kalho e Diego Rivera.
Le mie sensazioni affiorano sotto un cielo grigio di nuvole e smog nell'arco di una singola giornata: troppo poco per giudicare. Ma in ogni angolo sono sicura di aver sentito una goliardia pesante, una volatilità sotterranea, un'allegria che nasconde molta solitudine. Siamo sicuri che è qui la fiesta?

Templo de San Francisco e Torre Latinoamericana
Casa de Azulejos, Centro Histórico



Ambulantes, flotte di gente per la strada e folle accalcate in metropolitana, suonatori di organino, danzantes aztecas, murales, edifici coloniali e arte contemporanea, musei per tutti i gusti, centros joyeros ad ogni angolo, squadroni di polizia, smog che punge gli occhi, la pietra vulcanica rossa di Calle Moneda, i più disparati stili architettonici spesso raggruppati in un solo monumento, il Parque de México e il Parque de España, l'art deco, gli edifici coloniali e i locali trendy del quartiere Condesa. Queste le mie (quasi) ventiquattro ore a Città del Messico: davvero poche.

Palacio de Bellas Artes, Alameda Central
Viaggiare da soli è molto meditativo e mi calza a pennello: cercarsi continuamente nella mappa e sempre ritrovarsi, per quanto in un contesto diverso ogni volta. Seguire una guida cartacea e imparare quello che la città ha da dire, ma poi ascoltare con il proprio cuore e ragionare con la propria testa, per carpire l'anima della città con occhi che non restano chini su un libro.

Certo, mi manca condividere tutto questo con il mio CV: oggi era seduto di fronte a me mentre mangiavo vegetariano in questo luogo di carne e sangue. La sedia, ovviamente, era vuota. Sono io abbastanza creativa da riuscire a visualizzare quello che amo e lui c'era, ologramma del compagno di viaggio.

Avenida Madero, vista dall'alto

Un coperchio di tè to go è stato molto chiaro in proposito con (E)stefania: è scritto bianco su bianco e dice solo traveler. Devo prenderlo come un segno? Chissà cosa ne direbbero gli Aztechi.
Aquile non ne ho viste quindi questa non sarà la mia casa, ma una cosa è certa: Città che sei del Messico, per un giorno sei stata anche mia.




2 commenti:

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