giovedì 4 aprile 2013

Mezzo pieno o mezzo vuoto?

Non comincerò col dire che bisogna guardare il bicchiere mezzo pieno e non la parte mezza vuota: ho sperimentato personalmente che è impossibile.
Se c'è un bicchiere mezzo pieno, evidentemente c'è anche quel mezzo vuoto lì dentro che tutti noi aspettiamo sia colmato. Questo purtroppo ci dà un senso di incompletezza e insoddisfazione.
In uno dei due centri yoga dove attualmente sto insegnando qui in America stanno venendo pochi studenti alle mie classi. Sono abituata a vedere folti gruppi di persone, ammassate una accanto all'altra perché non c'è abbastanza spazio per tutti nella sala, pur di condividere quell'energia e fare una classe di gruppo. Ma in queste classi, solo tre o quattro persone, con un enorme spazio vuoto in mezzo e intorno. Vuoto, se mi soffermo a guardare lo spazio inutilizzato della sala, in effetti. Ma, una volta che la classe inizia e quelle tre persone danno il meglio, lo spazio diventa pieno, vibrante, denso. Non come in una classe di venti persone, certo, ma comunque qualcosa si muove.

Nella comunicazione il più delle volte gli effetti non sono visibili nell'immediato. Nello yoga, spesso, quello che un maestro dice non lo capisci immediatamente ma, dopo tempo, qualcosa sboccia da quel seme che è stato piantato.
Il mezzo vuoto non è poi così male, perché ci lascia ogni volta a disposizione un certo spazio da riempire.
Vogliamo illuderci che il vuoto non esista, rifiutiamo il dolore, rifiutiamo le emozioni, l'ego, salvo poi agire da esseri umani e quindi CON emozioni, avendo un ego, soffrendo. Non si può negare tutto ciò.
Mezzo pieno, mezzo vuoto: a chi la diamo a bere (vergognandomi per questa banalità appena digitata!)? Sono entrambe metà dello stesso bicchiere!
Il bicchiere siamo noi.
Il mezzo pieno e il mezzo vuoto costituiscono una polarità, ci tentano terribilmente nell'esprimere una preferenza, quando invece la completezza potrebbe nascere dall'accettazione del vuoto e dalla consapevolezza di ciò che eventualmente lo riempie.
C'è una parola in gurmukhi (lingua sacra derivata dal sanscrito che pronunciamo attraverso i canti dello yoga kundalini): saibhang. Significa "self-totality", è una qualità divina. Avviene quando ci rendiamo conto che non abbiamo bisogno di cercare nulla fuori da noi stessi, perché tutto è già lì.
Lo yoga lo insegna: è attraverso le polarità che avviene l'unione, ci si fonde con l'Infinito, l'Universo, Dio, con la Creatività.
La comunicazione è fatta di vuoti e pieni, di chiaroscuri, di effetti a breve e lungo termine. Ma resta sempre un'interezza, un'unità di fondo che si può percepire se applichiamo la comunicazione neutrale e abbiamo dunque una visione dall'alto e non più solo in prospettiva orizzontale: quando cioè riusciamo a vedere che si tratta di un intero bicchiere, a prescindere da quanta acqua contenga o non contenga.
Lo scopo è smettere di pensare a quanto liquido riempie il bicchiere e spostare l'attenzione sul bicchiere stesso: i feedback nella comunicazione prima o poi arrivano, brutti o buoni che siano. Ma nel frattempo noi stiamo facendo un ottimo lavoro.

Il mio esercizio creativo di oggi è dunque smettere di soffermarsi sul proprio successo, accettare i vuoti tanto quanto i pieni, bere da una fonte che sgorga eternamente da dentro di sé e diventare consapevoli della propria trasparenza. Come bicchieri di cristallo.

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